Le condizioni strutturali che alimentano
la crisi economica dal 2017

Simeoni Claudio

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Due elementi caratterizzano la resistenza umana alla distruzione della società in cui viviamo: l'andamento dei consumi e l'andamento delle nascite.

Una società in crisi rinuncia al futuro sociale perché agire per il futuro sociale, fare figli, richiede un costo eccessivo rispetto al presente vissuto. Inoltre, l'incertezza costringe le persone a rinunciare a una parte di quantità e di qualità di acquisti rallentando, di fatto, la circolazione delle merci impedendo la costruzione della ricchezza diffusa.

Affinché una società decida di non fare figli è necessario togliere alle coppie gli asili nido, gli asili, rendere gli orari di fruizione dei servizi impossibili rispetto agli orari di lavoro; rendere antieconomico l'accesso ai servizi che non sono più servizi per il cittadino, ma vere e proprie aziende che, anche se non fanno bilanci in profitto, distribuiscono stipendi e attraverso questo, posti di lavoro che servono al controllo sociale.

Affinché una società decida di comprimere i consumi è necessario che le prospettive economiche, date dalle condizioni di lavoro, siano messe in crisi con licenziamenti, lavoro precario, sottopagato, in modo da non poter mantenere dignitosamente sé stessi e la propria famiglia. Cosa che è prevista dalla Costituzione, ma che poliziotti manganellatori e magistrati codardi impediscono di realizzare costringendo le persone che lavorano (coloro che trasformano merci in prodotti) a vivere nel terrore e nella paura.

A questo si aggiunge la condizione di rapina sistematica dei risparmi messa in atto da Banche fallite che andrebbero chiuse, per evitare di fare altri danni, e un sistematico annientamento delle persone povere e dei senzatetto fino alla costruzione di campi di concentramento che si chiamano Centri di Identificazione e di Espulsione nei quali la violenza è garantita e impunita con la complicità delle organizzazioni criminali cattoliche.

Scrive l'Istat:

Al I gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l'8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti.
I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. L'aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all'invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.
Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L'età media delle madri al parto sale a 31,6 anni.
Il saldo migratorio netto con l'estero è di 128 mila unità, corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall'estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l'estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani.
Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale. In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7%). L'indice di dipendenza strutturale sale al 55,5%, quello di dipendenza degli anziani al 34,2%.
Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). L'età media della popolazione aumenta di due decimi e arriva a 44,6 anni.

Tratto da:

istat.it/it/archivio/180494

Non fare figli è la più alta forma di resistenza umana alla degenerazione della struttura socio politica italiana. Una struttura sociale volta alla violenza sui cittadini che da un lato legittima le banche nella loro azione di rapina nei confronti dei risparmiatori e dall'altro bastona i mendicanti, i senza tetto, che proprio le banche più altri hanno contribuito a costruire.

Da qui la contrazione dei consumi che nella strategia di resistenza sociale ha lo scopo di far fallire il maggior numero di commercianti possibile per renderli compartecipi alla miseria sociale.

Il livello medio della spesa alimentare è pari a 441,50 euro al mese (436,06 euro nel 2014, +1,2%). Si arresta la diminuzione della spesa per carni, in atto fin dal 2011, attestandosi a 98,25 euro mensili. La spesa per frutta aumenta del 4,5% rispetto al 2014 (da 38,71 a 40,45 euro mensili), quella per acque minerali, bevande analcoliche, succhi di frutta e verdura del 4,2% (da 19,66 a 20,48 euro).
E' sostanzialmente stabile la spesa per beni e servizi non alimentari (2.057,87 euro in media al mese). Per il terzo anno consecutivo si riducono le spese per comunicazioni (-4,2%), anche per l'ulteriore diminuzione dei prezzi. Aumentano le spese per servizi ricettivi e di ristorazione (+11%, da 110,26 a 122,39 euro, dopo due anni di calo), e le spese per beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (+4,1%, 126,41 euro).
Permangono le differenze strutturali sul territorio, legate ai livelli di reddito, ai prezzi e ai comportamenti di spesa, con i valori del Nord più elevati di quelli del Centro e, soprattutto, di Sud e Isole. La Lombardia e il Trentino-Alto Adige sono le regioni con la spesa media più elevata (rispettivamente 3.030,64 e 3.022,16 euro). La Calabria è invece la regione con la spesa minore, 1.729,20 euro mensili, inferiore del 42,9% rispetto ai valori più elevati.
Nelle città metropolitane la spesa media mensile è di 2.630,73 euro, nei comuni periferici delle aree metropolitane e nei comuni sopra i 50mila abitanti è di 2539,47 euro e negli altri comuni fino a 50mila abitanti è di 2.436,38 euro. Nelle città metropolitane si destinano quote di spesa più elevate all'abitazione e ai servizi ricettivi e di ristorazione.
Le famiglie di soli stranieri spendono in media 1.532,66 euro al mese, circa 1.000 euro in meno di quanto spendono le famiglie di soli italiani (anche se queste ultime hanno in genere dimensioni più contenute). Più della metà della spesa delle famiglie di soli stranieri (54,1%) è destinata a prodotti alimentari e bevande analcoliche e ad abitazione, acqua, elettricità, gas e combustibili (al netto degli affitti figurativi); questa quota è del 29,1% per le famiglie di soli italiani.
La spesa media mensile è molto eterogenea al variare del titolo di studio: ammonta a 3.383,05 euro per le famiglie con persona di riferimento laureata o con titolo di studio superiore alla laurea, circa il doppio rispetto a quella delle famiglie la cui persona di riferimento ha la licenza elementare o nessun titolo di studio.
Tra le famiglie di occupati dipendenti la spesa media mensile è pari a 2.321,50 euro se la persona di riferimento è operaio e assimilato, sale a 3.124,56 euro se è dirigente, quadro o impiegato. Tra gli occupati indipendenti, la spesa media mensile è di 3.585,20 per imprenditori e liberi professionisti e di 2.733,88 euro per gli altri lavoratori indipendenti.

In sostanza, i consumi ristagnano diminuendo o aumentando a seconda delle condizioni di vita delle persone. L'aumento del precariato e dell'incertezza lavorativa frena la circolazione del denaro.

In questo modo veniamo a sapere che la quantità di suicidi in Italia è impressionante. Ad esempio, riporto:

Sono circa 4 mila (in prevalenza uomini adulti) le persone che ogni anno in Italia decidono (e riescono) a togliersi la vita con i metodi più disparati. Una strage silenziosa e continua che dopo un periodo di assestamento al ribasso (quasi dimezzati i dati che riguardano le donne) ha registrato una nuova accelerazione (colpendo soprattutto gli uomini in età da lavoro) con l'esplosione della crisi economica mondiale nell'agosto del 2007. Una tendenza statistica impressionante che ha portato nel 2013 (ultimo anno di cui sono disponibili i dati Istat) a 4291 il numero di suicidi su tutto il territorio nazionale (352 nella sola regione Lazio). Numeri che fanno impressione e che devono tuttavia essere considerati per difetto visto che in molti frangenti, i casi di suicidio non vengono riconosciuti come tali. Solo a Roma, ad esempio, i casi di presunti suicidi sono 153 nel 2015 e 75 nel 2016 (al giugno 2016).

Tratto da:

iltempo.it/cronache/2016/06/16/news/mai-cosi-tanti-suicidi-in-italia-1012935/

La disperazione sociale è talmente diffusa che i suicidi vengono spesso nascosti o giustificati in vari modi, ma si tratta sempre di difficoltà esistenziali prodotte dalla struttura sociale e politica che trattando i cittadini come dei sudditi da usare come schiavi, vedi i recenti provvedimenti legislativi che hanno derubato la popolazione della sicurezza del lavoro, di fatto spinge i cittadini alla disperazione.

La stessa disperazione che si vive in famiglia che rappresenta il maggior contesto in cui avvengono atti criminali. I criminali sono i familiari della vittima e spesso la vittima è l'aguzzino a cui i familiari si ribellano. Prendo un dato dall'Ansa:

Al Nord la famiglia si conferma il principale ambito omicidiario (con 82 vittime, pari al 47,1% delle vittime dell'area), prevalendo significativamente sulla criminalità comune (37 vittime, pari al 21,3%), sugli omicidi tra conoscenti (14,9%) e sugli altri contesti minoritari. Al Centro è invece la criminalità comune a registrare il primato delle vittime (28 quelle censite, pari al 38,4% dell'area), prevalendo di poco sull'ambito familiare (27 casi, pari al 37%). è il Sud a distaccarsi dal restante territorio, prevalendo anche nel 2012 gli omicidi compiuti dalla criminalità organizzata (28,7%), che superano quelli del contesto familiare o affettivo (23,7%) e della criminalità comune (20,4%).

Tratto da:

ansa.it/sito/notizie/cronaca/2014/06/16/in-famiglia-il-maggior-numero-di-omicidi_dc795116-931e-4653-a116-478f7ab294c8.html

La disperazione, il terrore e la paura sono il sentimento più diffuso nella società italiana. Politici corrotti, e non solo per soldi, giocano a distruggere tutte le situazioni sociali in cui le persone traggono un minimo di benessere e nel farlo incitano al conflitto sociale mediante la violenza espressa dalla Polizia di Stato e da magistrati corrotti e vigliacchi che minacciano i cittadini col crocifisso.

Proprio per rendere difficoltosa la vita delle persone l'attuale governo ha distribuito denaro alle scuole private in modo da danneggiare la scuola pubblica anche se questa azione rappresenta un atto di terrorismo contro la Costituzione della Repubblica.

Agli italiani non resta altro che evitare di fare figli e comprimere i consumi cercando di difendersi, per quanto è possibile, dall'attività criminale con cui le banche rapinano i risparmiatori abusando della loro fiducia e abusando della non conoscenza nei meccanismi finanziari. Una non conoscenza, frutto di un'attività giornalistica di disinformazione, che se da un lato ha costretto i bambini ad andare al catechismo e a fagocitare i principi della monarchia assoluta, dall'altro li ha resi inconsapevoli delle regole e delle norme della società in cui devono vivere rendendoli prede di poliziotti criminali e magistrati che col crocifisso violano le leggi per i propri interessi personali.

Non resta altro che la compressione dei consumi con cui far fronte a quella crisi economica che si sta profilando in Italia fra la fine del 2017 e l'inizio del 2018.

Marghera,12 febbraio 2017

 

Nota: da queste condizioni sociali si iniziò ad affrontare la crisi covid-19 del 2020.

 

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Ultima modifica 08 febbraio 2022

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