La Corte di Cassazione e il dio padrone
dei cristiani, degli ebrei e dei musulmani

di Claudio Simeoni

Idee e riflessioni sulla società

 

Continuiamo ad osservare come nelle sentenze la Corte di Cassazione tenta di imporre, nella società civile, i concetti morali propri della Costituzione della Repubblica opponendosi alla violenza con cui, nella società civile, vengono imposti i concetti morali del dio padrone dei cristiani.

Le persone, secondo la morale cristiana, sono possedute dal dio padrone. Il dio padrone, secondo la morale cristiana, non può essere messo in discussione dalle bestie del suo gregge e, queste, prive di diritti, non possono contestarne o criminalizzarne le scelte. Quest'ottica viene veicolata costantemente nella società civile da tutti coloro che vengono educati nelle parrocchie e negli oratori. A seconda del ruolo sociale che occupano, si sentono tanti dio padroni in diritto di sottrarsi al giudizio, alla critica e alla legge.

Ne segue che questi personaggi, per vari motivi soggettivi, creano una grande conflittualità sociale. Una conflittualità generata dal loro delirio morale di adesione soggettiva all'identificazione col dio padrone e da conseguente rifiuto delle persone che dovrebbero accettare il loro ruolo di dio padrone.

I diritti, espressi dalla Carta Costituzionale, a chi si riferiscono? Al cittadino, come singolo e come soggetto, oppure si riferiscono al cittadino che intende imporre il proprio ruolo sociale su altri cittadini? La libertà di espressione è quella di Bagnasco che offende la Costituzione e che rivendica tale libertà per non essere inquisito, o è la libertà del cittadino di indignarsi per le offese di Bagnasco? La Costituzione e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo protegge i cittadini nei confronti delle gerarchie o sanciscono il diritto all'impunità delle gerarchie? Può il miliardario Bagnasco, Ratzinger, Sacconi, offendere Englaro perché non si sottomette? O è Englaro che ha diritto all'indignazione perché costoro usano il loro ruolo per ostacolare e impedire i suoi diritti Costituzionali? Può il cittadino indignarsi e accusare il Parlamento della Repubblica di atto di terrorismo nei confronti delle Istituzioni quando il Parlamento usa le sue prerogative rivolgendosi alla Corte Costituzionale per tentare di inficiare una sentenza della Corte di Cassazione che sancisce il diritto di Eluana Englaro di disporre del proprio corpo; o la Costituzione garantisce il diritto del Parlamento di usare le sue prerogative per aggredire i cittadini che rivendicano la loro Costituzione?

Anche se le sentenze coinvolgono diritti diversi sanciti dalla Carta Costituzionale, si tratta SEMPRE del diritto del cittadino alla libertà religiosa. Si tratta sempre di stabilire un principio fondamentale relativo al ruolo del cittadino nella società civile. O il cittadino è IL SOGGETTO di diritto Costituzionale, come imposto dalla Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo; o il cittadino è un oggetto di possesso come voluto dal cristo Gesù dei cristiani, dal loro dio padrone e, in generale, da tutte le religioni monoteiste e, allora, il diritto Costituzionale sancisce il diritto del dio padrone.

Si tratta sempre di UNA QUESTIONE RELIGIOSA.

Così è per i tre esempi, che riporto, di recenti sentenze della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione è intervenuta per legittimare il diritto dei cittadini nei confronti delle Istituzioni. Anche se sarebbe più corretto dire che la Corte di Cassazione ha sentenziato contro chi usava un ruolo Istituzionale per imporre la propria soggettività su cittadini che non avevano, secondo lui, nessun diritto di opporsi al suo arbitrio.

Tre comportamenti della gerarchia superiore che offendono i cittadini sottoposti, dalla funzione sociale svolta, a tale gerarchia. Cittadini che non sono sottoposti in quanto persona, ma solo in quanto relazioni di lavoro o di studio.

La Corte di Cassazione ha voluto ribadire il principio di uguaglianza delle persone proprio quando la diversità dei ruoli lavorativi crea una certa confusione morale in chi ritiene che avendo un ruolo dirigenziale o "superiore" sia in "diritto" di avere un ruolo superiore come persona.

Vessare le persone, aggredirle verbalmente, offenderle, denigrarle, non è mai giustificato. E, il fatto di occupare un ruolo gerarchico, in una società democratica, la vessazione, la denigrazione, l'aggressione verbale, se non trova le giuste risposte da parte di chi le riceve, è un atto di violenza che mina il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

RIMPROVERI CONTINUI DAL CAPO, E' MOBBING

(AGI) - Roma, 24 mar. - Continui richiami e rimproveri nei confronti di un dipendente, anche davanti ai colleghi, sono episodi di mobbing. E' quanto emerge da una sentenza con cui la Cassazione ha confermato la nullita' del licenziamento e di diverse sanzioni disciplinari adottati nei confronti di un'impiegata di un'azienda: la donna aveva lamentato l'illegittimita' dei provvedimenti del datore di lavoro e le sue ragioni sono state condivise dai giudici, dal primo grado fino in Cassazione. La societa', dove la donna prestava servizio alla reception e al centralino, aveva impugnato a 'Palazzaccio' la decisione della Corte d'appello di Milano, che aveva disposto anche un risarcimento danni di 9.500 euro per la dipendente mobbizzata. I giudici di secondo grado, in particolare, avevano rilevato che "effettivamente il clima aziendale nei confronti dell'impiegata fosse pesante, dato che i rimproveri orali da parte dei superiori venivano effettuati adottando toni pesanti ed in modo tale che potessero essere uditi dagli altri colleghi di lavoro", nonche' che "sussistesse una sproporzione evidente tra il provvedimento di licenziamento e i tre lievi addebiti riportati nella contestazione" L'azienda, pero', nel suo ricorso, aveva continuato a sostenere che la dipendente non aveva eseguito con diligenza le prestazioni che le erano state affidate, negando che la donna fosse oberata da una mole eccessiva di lavoro, che sussistessero le vessazioni e le aggressioni verbali lamentate dalla lavoratrice e che quest'ultima fosse stata sottoposta a controlli esasperati. La Suprema Corte (sezione lavoro, sentenza n.6907) ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile: "e' inevitabilmente diverso il livello della diligenza ritenuta necessaria da un datore di lavoro (creditore della prestazione), e percio' delle mancanze che possono giustificare dei provvedimenti punitivi ed il livello invece ritenuto necessario dal prestatore (debitore della prestazione) - osservano gli alti giudici - e una valutazione oggettiva non puo' che essere lasciata necessariamente ad un terzo, in concreto il giudice del merito" e "la maggior parte degli addebiti contestati concerneva ipotesi di svolgimento delle proprie mansioni con insufficiente diligenza, che investono, piuttosto che fatti disciplinari in senso proprio, che presuppongono un comportamento in qualche misura volontario, semplici difficolta' operative". Le sanzioni alla dipendente, conclude la Cassazione, "erano state irrogate all'interno di un comportamento complessivo di mobbing, anche quando altrimenti non lo sarebbero state se non fosse sussistita una specifica volonta' di colpire la donna, per indurla alle dimissioni, e/o per precostituire una base per disporre il suo licenziamento".

Tratto da:

http://www.agi.it/cronaca/notizie/200903241413-cro-rt11177-art.html

Dipendente e capo ufficio: se reagisce ai rimproveri anche con insulti non può essere licenziato.

Cassazione si mostra comprensiva nei confronti dei dipendenti vittime dei datori di lavoro troppo esigenti: secondo l'ultima sentenza, se il capo rimprovera troppo spesso il dipendente, la sua eventuale reazione non merita il licenziamento.
Anche se il lavoratore si rivolge al suo superiore con l'espressione: ‘ma chi c... ti credi di essere?', questa può essere considerata una ‘reazione emotiva istintiva'. Con questa sentenza i giudici della Cassazione hanno confermato il reintegro in servizio di un dipendente di una casa di cura di Napoli (Alma Mater Villa Calmaldoli) che nel 2002 era stato licenziato.
Il dipendente aveva risposto all'amministratore della struttura che gli aveva rimproverato alcune mancanze: Chi c... ti credi di essere? Se sei un uomo esci fuori! Se no non ti faccio campare più tranquillo!'. All'ora i giudici di merito avevano ritenuto, sia in primo sia in secondo grado, che questa espressione non meritasse il licenziamento per insubordinazione.
Tesi che poi la Cassazione ha condiviso respingendo il ricorso della società Alma Mater. La spiegazione fornita è stata che le espressioni irriguardose ma non minacciose possono essere reazioni puramente emotive, e pertanto non controllabili nel momento stesso imputato.

Autore: Marianna Quatraro

Tratto da:

http://www.businessonline.it/news/8532/Dipendente-e-capo-ufficio-se-reagisce-ai-rimproveri-anche-con-insulti-non-puo-essere-licenziato.html

Scuola: reato rimproverare un alunno dicendo "sei una bestia"

Un alunno di una scuola calabrese porta in classe una serie di oggetti contundenti che possono essere usati anche come armi. La maestra, di fronte a questo episodio, apostrofa l'alunno chiamandolo "bestia" e nel rimproverarlo lo invita anche a farsi curare da uno psicologo. Adesso questa maestra deve pagare una multa per diffamazione pari a 1500 euro e risarcire quindi economicamente l'allievo. Lo ha stabilito la sentenza della Corte di cassazione numero 9288 che già qualche giorno prima era intervenuta in un'altra diatriba scolastica. I giudici infatti hanno condannato un professore pugliese per abuso di mezzi di correzione. Durante un compito in classe di geometria, di fronte ai frequenti e ripetuti errori dell'alunno, l'insegnante ha rimproverato il ragazzo colpendolo con una squadra in testa. Anche in questo caso è stata deciso un risarcimento economico pari a 1000 euro che il professore dovrà versare al minore.

Tratto da:

http://www.intrage.it/attualita/2009/03/05/notizia15785.shtml

Non discuto che il cristiano, addestrato e condizionato ai metodi di relazioni del suo dio padrone o del suo cristo Gesù (vedi i suoi insulti e le sue aggressioni ai Farisei), abbia delle difficoltà a relazionarsi alla pari e come uguale con le persone della società civile.

Questo, però, non giustifica le aggressioni di ordine verbale, fisico o amministrativo, che i cittadini sono costretti a subire da individui che usano le Istituzioni per aggredire i cittadini. Come questi tre esempi, non è diversa la vicenda dei semafori "intelligenti" messi in funzione da amministratori per truffare i cittadini e sottrarre loro denaro. Come quella "maestra" e quei "datori o superiori, di lavoro" si pensavano tanti "dio padrone" e non si ritenevano in dovere di rispettare norme di civiltà imposte dalla Costituzione della Repubblica così quegli amministratori comunali si identificavano col dio padrone. In diritto di vessare i cittadini e impunibili come il loro dio padrone.

L'uscita della società dall'orrore cristiano implica l'assunzione di metodi di relazione diversi da quelli che il cristianesimo ha sempre imposto. Ma, soprattutto, ciò che sfugge alle persone che occupano ruoli Istituzionali è che loro, all'interno di quei ruoli, non hanno dato le "dimissioni dalla società civile". Non si sono ritirati nell'"alto dei cieli", ma sono soggetti che vivono nella società civile. E che nella società civile devono viverci tutte le contraddizioni che questa società manifesta. Il ragazzo disagiato, non è tale per volontà del dio padrone. E' disagiato perché nella società civile esistono delle condizioni che alimentano quel disagio. La responsabilità non è mai delimitata (alla scuola o alla "famiglia"), ma è estesa ad ogni soggetto che vive nella società e che deve far in modo che quel disagio sia rimosso. Così il magistrato non ha terminato il suo ruolo di cittadino quando sentenzia, come non lo ha terminato l'operaio quando timbra il cartellino, ma è in quel momento che inizia la lor o responsabilità come cittadini nelle condizioni e nelle contraddizioni della società civile.

Così le persone che agiscono nelle Istituzioni non possono circoscrivere il loro ruolo sociale all'interno dell'Istituzione. Questo valeva quando era in atto la società monarchica. Il re era sempre re. Il ruolo e la sua persona erano la stessa cosa. Così il magistrato, magistrato per volere del re. L'essere magistrato era il suo essere persona. Fino a qualche anno fa si diceva che "anche in mutande un carabiniere è sempre un carabiniere!". Oggi, in una democrazia, la persona è distinta dal ruolo. Il ruolo, la gerarchia, non qualifica la persona, ma la persona può rendere importante e luminoso quel ruolo o può sporcarlo e dequalificarlo con un comportamento vergognoso. Resta però sempre una persona uguale ad ogni altra persona nella società civile.

Questo vale per il "datore di lavoro" che sputa sulla Costituzione quando dimentica l'uguaglianza sociale e si rapporta come un dio padrone nei confronti del dipendente o l'insegnate che usa il proprio ruolo per vessare, ingiuriare e ricattare l'allievo.

La Corte di Cassazione con le sue sentenze, richiama la morale Costituzionale. La sua importanza e la sua centralità nei rapporti fra le persone. Una moralità già richiamata in precedenti sentenze e che spesso il Parlamento della Repubblica, quando deve legiferare, tende ad ignorare istigando, di fatto, alla conflittualità sociale ( vedi il decreto sulla sicurezza e sui pubblici ufficiali, mentre nessun decreto è stato fatto per impedire le torture dei pubblici ufficiali nei confronti dei cittadini. Vedi i vigili urbani di Parma.).

Marghera 25.03.2009

Idee e riflessioni sulla societa'

La lotta del cristianesimo contro le antiche religioni non è una lotta di idee, ma un insieme di crimini che oggi classificheremmo come terroristici e mafiosi. Tutt'oggi tali crimini continano nonostnte le leggi democratiche. Leggi che vengono disattese da cattolici che occupano ruoli Istituzionali.

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