Il concetto di provvidenza nella religione di Roma Antica

Gli Dèi nella Religione Romana
Il Sentiero d'oro

di Claudio Simeoni

 

Indice Religione Romana

 

Uno dei concetti dai quali si vuole far permeare la storia di Roma, dal punto di vista della religione, è il concetto di provvidenza.

Provvidenza significa: provvedere a.

Il concetto viene elaborato da individui la cui vita è caratterizzata dallo stupore per la propria stessa esistenza; non capiscono come essi, così incapaci e impotenti nei confronti dell'oggettività, possano continuare a vivere ed esistere. Attraverso quest'impotenza e questo stupore, guardano la storia della loro città e si stupiscono come abbia potuto vivere, esistere, prosperare, espandersi. Da quest'impotenza costoro elaborano un concetto: provvidenza.

Certamente, essi affermano, gli Dèi provvedono al benessere della città. Così essi trasformano gli Dèi in Esseri il cui unico scopo del loro esistere è provvedere all'esistenza agli abitanti di una città, al suo espandersi, al suo progredire.

Questi individui non scorgono la fatica del servo, non scorgono l'impegno dell'uomo nel trasformare le merci in prodotti, non vedono la volontà, l'impegno costante, il valore degli Esseri Umani. Non vedono la grande quantità di Energia investita dai singoli abitanti della città. Non vedono le relazioni che costoro intrattengono col mondo circostante. Non scorgono, nelle loro azioni, la presenza di Venere, Saturno, Marte, Giove, Tellus, Cerere, Liber Pater, Quirino, Lara, Carna, Giano ecc. Non riflettono come questi Esseri Umani, che vivono attorno a loro, sono l'incarnazione della divinità di cui essi vanno blaterando decantandone le doti.

Giano non avrebbe fatto sgorgare la fonte se gli Esseri Umani da proteggere non fossero stati a loro volta Giano: non stessero agendo per fondare il futuro.

Gli Esseri Oca del Campidoglio non avrebbero starnazzato se gli Esseri Umani della città non fossero stati Giunone.

Nella loro impotenza, Cicerone, Tito Livio, Ovidio, Virgilio non vedono gli Esseri Umani attorno a loro, vedono soltanto la propria impotenza nell'affrontare la vita. Pensano che tutti gli Esseri Umani siano impotenti come loro.

Si dirà: " Non era il loro intento!". Eppure lo scopo delle loro azioni e dei loro scritti era quello di strappare la sicurezza dal cuore degli Esseri Umani per meglio renderli schiavi.

"Gli Dèi provvedono al benessere della città!", andavano farneticando, finendo per dire "Tu, Divino Imperatore, provvedi al benessere della città!". L'Imperatore finì per difendere il proprio interesse distruggendo l'anima stessa della città di Roma e di tutte le provincie che da essa dipendevano.

Cosa significa strappare l'anima di una città o di una cultura? Significa annichilire il suo Quirino. Annichilire la sua volontà. Impedire alla volontà d'esistenza di progettare il proprio futuro.

Ogni cultura è un divenuto. Si è costruita adattandosi e trasformandosi giorno dopo giorno, generazione dopo generazione. Spesso i figli compiono dei gesti tramandati loro dagli "antenati"; seguono un comportamento appreso gratuitamente da chi ha sudato sangue per costruirsi l'esperienza, ma ignorano quanta fatica e quanto sacrificio è costato loro imparare e strutturare quella conoscenza dentro di loro. Quanta disciplina è stata necessaria per costruirlo. Quella capacità d'azione spesso è tutto quello che loro avevano. E' quanto permette loro di vivere. Spesso gli Esseri Umani dimenticano come quel sapere debba essere rinnovato, come sia necessario aggiungere sapere a sapere, conoscenza a conoscenza e come quanto ci è stato insegnato dobbiamo insegnarlo a nostra volta dopo averlo arricchito attraverso la nostra esperienza nella nostra esistenza.

Così, anziché ricordare come quel Sapere, quella Conoscenza, sia frutto di duro lavoro e costante impegno di chi trasforma merci in prodotti atti a soddisfare bisogni umani ci si illude che sia un regalo di un qualche dio, di un qualche padrone, di un qualche "Essere Superiore".

Quando si dice agli uomini che non è possibile che un qualche "essere superiore" sia intervenuto nelle faccende umane, fra lo stupore e l'indignato costoro affermano: "Come, i miei antenati non erano stupidi come me, incapaci come me, fannulloni come me, ciechi come me?".

"No! Hanno affrontato l'esistente, lo hanno trasformato per poter risolvere i loro problemi e hanno posto le basi affinché nascessi tu! Tu devi partire da questo ed arricchirlo, trasformandolo e per consegnarlo a tua volta".

Nell'incapacità di trasformare le merci in prodotti, l'Essere Umano non riesce più a trasformare sé stesso in relazione all'esistente. A vivere l'esistente. Ad essere parte integrante delle contraddizioni dell'esistente.

Guarda la Luna, ma non sente la sua voce.

L'Essere Umano maschile (su istigazione del Comando Sociale) non sente nella propria compagna Diana, Giunone, Bona Dea, Mater Matuta, Anna Perenna, la considera un oggetto col quale soddisfare i suoi bisogni costringendola a far crescere i "suoi figli" bastoni per la sua vecchiaia (2.000 anni di Imperatori Romani e cristiani testimoniano questo). L'Essere Umano femminile non riesce più a vedere nel proprio compagno Marte, Quirino, Pale, Volturno, Pistore, Vulcano, Cerere, Liber, Venere, né vede Genio crescere dentro di lui. Entrambi si vedono spegnere dalla vecchiaia: Virbios li ha fatti propri, ora Mors li attende.

Guardano la terra e non sentono né Tellus né Maia, non sentono le voci di Silvano, Fauno, Giove e Nettuno.

Guardano il cielo, lo scorrere delle nubi, sono impressionati dal rombo del tuono che segue il fulmine, ma non sono in grado di essere cielo diventando uno con Giove.

Quanto loro ignorano, fece grande Roma!

Anche se Roma si appropriò delle immagini divine dei popoli italici, fu in grado di compenetrarle e farle proprie a tal punto che quelle immagini si possono considerare soltanto sue. Anche se altri popoli avevano alimentato i nodi di Energia Vitale, e spesso dato loro il nome delle Coscienze di Sé delle divinità romane, l'interrelazione fra queste e il popolo romano (e le popolazioni italiche in genere) fu tale da essere considerate, a buon diritto, divinità romane.

Ed ecco Cicerone affermare come la radice di Venere sia una derivazione del verbo venerare e come quella di Cerere sia quella del verbo crescere. Solo questo, il "dotto" che non trasforma le merci in prodotti, sa vedere. "Molto bello!" dice "Accattivante!" e dietro la forma non scorge il Potere di Venere come non è in grado di scorgere la volontà di Cerere nella crescita di suo figlio.

"Come sono stato fortunato!" mentre ruba il lavoro dalle mani di chi non si può difendere "Ringraziamo la provvidenza divina!". Mentre disciplina sé stesso per garantirsi di poter continuare a rubare il lavoro di altre mani chiude sé stesso alla relazione con il mondo in cui vive ringraziando la provvidenza per la riuscita del suo proposito. Ciò che avrebbe potuto fare di diverso e non ha fatto, sparisce dal suo orizzonte.

Così costoro spacciano per provvidenza il prodotto dell'azione degli Esseri Umani e bloccano lo sviluppo del progresso umano conchiudendolo nell'attesa provvidenziale dell'intervento salvifico.

L'Imperatore può difendere quanto possiede, ma non può aggiungere nulla a quanto possiede se non rubandolo ad altri. La provvidenza si riduce soltanto alla garanzia di poter continuare a rubare per aggiungere qualche cosa a quanto possiede.

Lo scopo di Cicerone e compagni è quello di rendere gli Esseri Umani di Roma uguali a loro: sanno raccontare storie "fantastiche" ma non sono in grado di cogliere una mela con cui sfamarsi. Solo quando sono riusciti ad accecare gli Esseri Umani nei confronti del mondo circostante costoro si possono spacciare per dotti e sentirsi importanti.

Seneca riceve i favori del palazzo, Cicerone può sparare stupidaggini nei confronti di Catilina macellandone i sostenitori affinché non smascherino il suo complotto, Ovidio scrive suppliche all'Imperatore chiedendo il perdono, Virgilio viene comperato ripagandolo per gli espropri con generose donazioni da parte dell'Imperatore e, Tito Livio, il pompeiano, può continuare a curare la grandezza di Roma che tanto per lui un padrone vale l'altro.

Costoro invocano la provvidenza al solo fine di disarmare gli Esseri Umani davanti al divenire. Le loro opere saranno ampiamente utilizzate dai cristiani (salvo depennare qualche passo qua e là negli scritti) i quali, oltre a dover costringere gli Esseri Umani a soggiacere alla divina provvidenza, di cui loro si dicevano emissari, dovevano anche distruggere i simboli attraverso i quali gli Esseri Umani potevano essere indotti a relazionarsi con l'esistente.

Vale per tutti l'esempio del santo cristiano Vigilio vescovo di Trento la cui bassezza morale era tale da volere a tutti i costi distruggere la statua di Saturno in Val Rendena e per questo messo a morte dagli abitanti della stessa valle che difesero la statua dal suo esercito.

Vigilio si considerava il padrone, per volontà del suo dio, di Trento e non sopportava che le persone si permettessero di sperare ancora nell'Età dell'Oro col pericolo che qualcuno di loro potesse diventare Saturno trasformando la speranza in progetto.

Vigilio voleva distruggere quella statua allo scopo di sottomettere gli abitanti della valle alla provvidenza del suo inesistente dio. Vigilio voleva trasformare quegli abitanti di quella terra in Esseri vuoti e disperati come lo era lui.

L'immensa ferocia del vescovo cattolico Vigilio, con lui e dopo di lui di tutti i missionari cristiani, si è scontrata con l'orgoglio e la speranza dei valligiani.

I cristiani hanno dimostrato a Cicerone e compagni come non sia sufficiente propagandare la provvidenza come elargitrice di speranza per sottomettere gli Esseri Umani, ma come era necessario strappare loro ogni simbolo del loro legame col mondo. Distruggere ogni simbolo e ogni libro, ma soprattutto è necessario distruggere il principio speranza attraverso il quale l'Essere Umano alimenta il dio che cresce dentro di lui portandolo a cogliere il frutto dall'albero della vita eterna.

 

Testo 1993

Revisionato nella forma attuale: Marghera gennaio 2019

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português O conceito de providência na religião da Antiga Roma

 

 

 

Il sentiero d'oro: gli Dèi romani

La vita, rappresentata da Giunone in Piazza delle Erbe a Verona

 

Il suicidio della vita rappresentata da Giulietta a Verona

 

La Religione Pagana esalta la vita trionfando nella morte.

Il cristianesimo esalta la morte, il dolore, la crocifissione e il suicidio

 

Per questo i cristiani disperati hanno un padrone che promette loro la resurrezione nella carne.

Home Page

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Membro fondatore
della Federazione Pagana

Piaz.le Parmesan, 8

30175 Marghera - Venezia

Tel. 3277862784

e-mail: claudiosimeoni@libero.it

I Romani erano costruttori di Ponti

Ponti che univano gli Dèi agli uomini e gli uomini agli Dèi

 

La Religione di Roma Antica

La religione di Roma Antica era caratterizzata da due elementi fondamentali. Primo: era una religione fatta dall'uomo che abita il mondo fatto da Dèi con cui intratteneva relazioni reciproche per un interesse comune. Secondo: la Religione di Roma Antica era una religione della trasformazione, del tempo, dell'azione, del contratto fra soggetti che agiscono. Queste sono condizioni che la filosofia stoica e platonica non hanno mai compreso e la loro azione ha appiattito, fino ad oggi, l'interpretazione dell'Antica Religione di Roma ai modelli statici del platonismo e neoplatonismo prima e del cristianesimo, poi. Riprendere la tradizione religiosa dell'Antica Roma, di Numa, significa uscire dai modelli cristiani, neoplatonici e stoici per riprendere l'idea del tempo e della trasformazione in un mondo che si trasforma.