Il concetto di pietas dell'Antica Roma faceva parte dei costumi antichi. I "costumi degli Antenati" che assume il nome comune di Mos Maiorum.
Il Mos Maiorum "costumi degli antenati" era un insieme di modi con cui l'uomo si atteggiava nella società dell'Antica Roma prima dell'avvento delle leggi delle XII tavole.
I costumi altro non erano che gli atteggiamenti che gli "antenati" avevano forgiati e consegnati ai loro figli per vivere al meglio nella società in cui essi vivevano.
Vai ai temi trattati da Claudio Simeoni in Federazione Pagana.
|
La Teoria della Filosofia Aperta è stata caricata sul sito della Stregoneria Pagana. |
Gli elementi che costituivano questo corpo comportamentale erano trasmessi mediante l'esempio dei cittadini che agivano nel loro presente e i racconti mitici, molti dei quali descritti, in epoca tarda, nella storia di Roma da Tito Livio. Quando Tito Livio scrive, i principi del Mos Maiorum sono ormai leggendari. Hanno cessato spesso di essere presenti nella società romana e appartengono ad un tempo mitico del cui significato gli uomini del presente come Cicerone, Tito Livio, Augusto, Pompeo, ecc., hanno perso la memoria.
Rivendicare i principi delle virtù del Mos Maiorum sotto Augusto non è rivendicare le virtù del Mos Maiorum applicate in quel tempo mitico in cui nasceva la città di Roma.
Virgilio, intellettuale organico alla propaganda imperiale, prende un concetto comune della Pietas, lo strappa alla società civile e lo usa per legittimare l'imperatore Augusto: è legittimato ad essere imperatore perch´ pratica la Pietas.
Dando per scontato che la qualità delle virtù dell'età dell'oro non può essere la stessa qualità della virtù del tempo presente, ciò che a mio avviso è stato dimenticato è la direzione e la funzione sociale delle virtutes del Mos Maiorum come anticamente pensato. E' dovere di ogni generazione, che consegna gli strumenti ai propri figli, variare il contenuto qualitativo delle virtutes del Mos Maiorum per consegnarle più efficienti ai propri figli (da qui la tradizione che guarda in avanti e non la tradizione che blocca il presente nel passato). Ma appare evidente che nel passaggio generazionale di questi costumi, qualche cosa è andato storto. Qualcosa non ha funzionato. Noi assistiamo ad un ambiente sociale di Roma che fino all'avvento di Silla si espande nelle contraddizioni sociali e, da Silla in poi, questo ambiente sociale si richiude su s´ stesso in una ricerca spasmodica di un padrone, un imperatore, dal quale non saprà più liberarsi fino alla distruzione di Roma.
Proviamo ad elencare le virtù contenute nel Mos Maiorum ed analizzare l'applicazione di tali virtù nel tempo mitico e nel tempo augusteo.
Fortitudo: capacità, coraggio;
Fides: fedeltà (agli intenti della società); (lealtà)
Pietas: rispetto verso la società
Iustitia: senso della giustizia;
Audacia: coraggio;
Constantia: costanza;
Magnitudo animi: nobiltà d'animo;
Aequitas: equità;
Probitas: probità;
Auctoritas: autorità;
Honestas: onestà;
Temperantia: misura;
Clementia: moderazione.
Si tratta di atteggiamenti del singolo individuo davanti al mondo in cui vive.
A seconda di come vengono tradotte queste parole, assumono significati diversi: sottile è il confine fra una Roma che cresce e si espande e una Roma che muore chiudendosi su s´ stessa.
Il complesso delle virtù comportamentali, quelle che oggi chiameremmo i valori morali, viene elaborato in tempi antichissimi. Ben prima della nascita di Roma. Appare un costume diffuso in tutti i popoli latini al di là di come veniva applicato. Appaiono norme comportamentali del branco animale teso alla sopravvivenza in un ambiente ostile.
Questa formula, per dichiarare guerra recitata dagli Feziali in epoca dei re di Roma, ci permette di comprendere come i principi comportamentali del Mos Maiorum erano applicati dai romani di allora:
[I Feziali presentavano la richiesta di riparazione]
Il Feziale delegato giunge alle terre di coloro ai quali si chiede riparazione col capo cinto d'un filo, ossia di una benda di lana.
Padre Patrato
Ascolta, Giove, ascoltate, terre dei Prischi Latini, ascolti la Giustizia Divina. Io, sono regio nunzio del popolo romano; inviato secondo la legge umana e in pace con gli Dèi, vengo e alle mie parole sia fede.
[Espone tutte le sue richieste. Poi chiama Giove in testimonio.]
Detestazione
Se io, contro la legge umana e in ira agli Dèi, richiedo che quegli uomini e quei beni mi siano consegnati, allora non lasciarmi più vivere nella mia patria.
Tratto da: Giovanni Battista Pighi "La poesia religiosa romana".
Questo è un esempio dell'applicazione del Mos Maiorum nell'atto di indire una guerra elevato a pratica religiosa che impegna tutto il popolo della città: tutta la patria.
Questo corpo di regole morali nasce in una società che non è dominata da "un padrone". Al di là dei rapporti che esistono fra i singoli individui, la società che viene alimentata da quel tipo di regole morali non ha un' "autorità" che determini il comportamento morale degli individui. Quando vengono perfezionati i principi del Mos Maiorum la città, la patria, era PROPRIETA' DEI CITTADINI al di là delle funzioni che i singoli cittadini svolgevano all'interno di quella patria. La patria non è un soggetto diverso dai cittadini: i cittadini sono lo Stato in quanto lo Stato deve rendere conto ai cittadini. C'erano i re di Roma, ma erano re per funzione, non erano re investiti di autorità da un ente esterno. I re di Roma non hanno nulla a che vedere con i re medioevali. In comune hanno solo la parola "re".
Negli antichi romani era ben chiaro che il re era un re per funzione e non per dominio. Il re non era il padrone, ma l'amministratore. Quando Tarquinio il Superbo ha violato le regole morali del Mos Maiorum è stato detronizzato da Bruto ed è stata istituita la Repubblica. Per contro, nelle situazioni di necessità, Roma eleggeva un dittatore che rimaneva in carica 6 mesi con pieni poteri. Dopo i sei mesi veniva sottoposto a giudizio: Cincinnato e Massimo il Temporeggiatore sono esempi di dittatura positiva.
Per comprendere l'importanza del Mos Maiorum proviamo a leggere le virtù riferendole all'uomo, al singolo individuo, che agisce nel suo mondo e che è consapevole di come la sua azione provochi perturbazione nella società e nel mondo, costringendo il mondo a reagire e ad adattarsi alla sua azione.
Proviamo a pensare ad un uomo che va in terre straniere e sconosciute a commerciare o per scambi culturali. Quest'uomo sarà ben accetto se i suoi comportamenti saranno caratterizzati da (l'elenco è stato scaricato da una pagina web; lo abbiamo valutato abbastanza coerente):
Che cos'è il valore del coraggio e della capacità? Quest'uomo che viaggia fra terre sconosciute, come un Ulisse, avrà la capacità di compiere il viaggio solo nella misura in cui avrà il coraggio di abbandonare la certezza di un presente per affrontare un domani senza conoscerne la realtà. Non sa che cosa trova lungo il suo viaggio. Può trovare morte e distruzione dopo aver abbandonato un presente di sicurezza. Oppure, se vogliamo, è il mondo che viene da lui. Un mondo che può essere distruttivo e capace di modificare il suo presente di sicurezza. La capacità di costruire le relazioni con gli uomini e il coraggio di togliere le proprie radici in un presente sicuro per ripiantarle in un futuro possibile.
Noi possiamo ipotizzare che questo sia il coraggio coltivato da una popolazione nomade o da comportamenti propri di chi sposta in un altro luogo o in altri tempi, il proprio presente.
Il coraggio è inteso come la forza dell'uomo di affrontare lo sconosciuto e la capacità è intesa come l'esercizio della propria intelligenza nella quale veicolare le soluzioni coraggiose che modificano opportunamente il proprio presente. Questa, non è forse il venir in essere delle coscienze all'inizio del tempo? Le prime coscienze non esercitarono forse la loro volontà di vivere in uno sconosciuto inconsapevole nel quale germinarono? Queste coscienze non esercitarono la loro intelligenza per progettare al meglio i loro adattamenti e dilatarsi, divenire, trasformarsi, nello sconosciuto che le circondava?
Il coraggio e la capacità sono forze della vita. Una vita che germina e che si espande alla quale l'uomo sociale risponde veicolando coraggio e intelligenza nel mondo in cui vive: il mondo sociale e il mondo della Natura.
Che cos'è il valore della lealtà? La vita procede sempre per "aggregazione". Essere leali, applicando a s´ stessi il dovere di assistenza nei confronti del gruppo o dei compagni con i quali si fa lo stesso cammino, è una questione di sopravvivenza. La immaginate una carovana che marcia sotto una tempesta di neve e qualcuno che bastona i compagni per appropriarsi di beni o danneggia le possibilità di avanzare? Per essere leali è necessario avere un intento comune. Per essere leali è necessario progettare un futuro comune. Sono leali le cellule di un corpo perch´ nel loro essere leali vivono per s´ in funzione di un tutto che favorisce il vivere per s´. La lealtà o la fedeltà agli impegni, è un modo di interpretare l'aggregazione mediante la quale la vita si sviluppa. Quando c'è la slealtà in un corpo, c'è l'insorgenza di un tumore che potrebbe distruggere il corpo. Si formano due diverse lealtà. Due diversi progetti per futuri possibili.
Due diversi progetti che hanno bisogno della "pietas" per poter proseguire nel loro sviluppo senza interferire in maniera conflittuale l'uno nell'altro. La traduzione corretta di pietas è rispetto. Non rispetto per la persona in s´, ma rispetto per i processi di trasformazione e di mutamento della persona, delle società, dei soggetti nel mondo. La Pietas è l'atteggiamento dell'uomo che risolve i conflitti sociali senza essere distruttivo. Un po' subisce, un po' reagisce, un po' si arrabbia, un po' forza le soluzioni da un lato, consapevole che le sue scelte non sono dettate da sottomissione o da debolezza, ma da utilità "economica" che va a vantaggio dell'intero tessuto sociale che ha bisogno di quel modo d'agire per affrontare la realtà interna e non essere indebolito nella conflittualità con altre società. La Pietas, che, per quanto i Romani li odiassero, ha la massima espressione sociale nei Cartaginesi e nei Fenici nel loro omaggio ai bambini nati morti e sepolti nei Tofet.
Nella costruzione dell'antica società Romana, Romolo impose il potere assoluto dei padri all'interno della domus. Per ovviare all'assoluto arbitrio dei padri, Romolo impose ai padri il dovere di educare tutti i figli maschi e le primogenite fra le figlie. In questo modo sostanziò la Pietas con dei reciproci doveri che, se da un lato non minavano l'assolutismo del pater familias, dall'altro lato imponevano al pater familias dei doveri nei confronti dei figli, in funzione del benessere della società. Oggi, la violazione maggiore del principio della pietas lo osserviamo nei comportamenti della maggior parte dei genitori moderni la cui attività, anzich´ essere d'esempio per armare i propri figli, sembra concorrenziale alle potenzialità dei loro figli come se i genitori volessero dire ai loro figli: "Io sono meglio di te! Tu sei un incapace!".
I progetti di vita dei padri e dei figli seguono due strade diverse per diversi possibili futuri: questi hanno bisogno di rispetto, di Pietas. Il conflitto, senza rispetto, porta a menomare il futuro dei padri e il futuro dei figli finendo per distruggere il futuro di quella società.
Parlare, oggi, nel 2011 di Pietas relativa alla "famiglia" non significa sottolineare un valore sociale, ma significa riaffermare l'assolutismo del "padre" sulla famiglia. Significa riaffermare i valori cristiani della "sacra famiglia". Significa aggredire la Corte di Cassazione che in questi venti anni ha sentenziato per portare la morale delle relazioni familiari facendo comprendere come i figli non hanno doveri nei confronti dei genitori, ma sono i genitori che hanno doveri nei confronti dei figli. Esattamente la stessa intenzione di Romolo nell'introduzione del dovere di Pietas come attenuazione del dominio assoluto del Pater familias nel sistema antico romano.
Diverso è quando usiamo il concetto di Pietas nel suo significato più profondo: attenzione e compartecipazione al mondo e alla società in cui viviamo. Questa attenzione, capace di guidare le nostre azioni in funzione della costruzione del futuro sociale, è il vero significato di Pietas il cui valore morale rimane uguale sia nella società di Roma antica che nelle società attuali.
Che cos'è la giustizia? E' soluzione del conflitto che apre il futuro ai contendenti. Risolvere i conflitti con giustizia significa risolvere i conflitti tenendo presenti le ragioni dei contendenti. Una società che agisce e sentenzia tenendo presente tutte le ragioni dei contendenti mediando fra i reciproci interessi, è una società che preserva s´ stessa dal conflitto interno. Questo modo di fare si chiama: saggezza. Questo modo di fare difende i progetti della società in funzione del proprio futuro.
Che cos'è l'audacia? E' la capacità dell'individuo di trasformare le proprie intuizioni in azione senza dover attendere un'adeguata descrizione della ragione che giustifichi tale azione. Essere audaci equivale a camminare sul filo di un rasoio. La persona audace non sa se ciò che farà è "giusto" o non è "giusto". Se quella scelta è opportuna o avventata. La persona audace spezza l'equilibrio di un tempo presente mediante le sue azioni ed è pronta a subirne le conseguenze. Le persone audaci sono quelle persone che, pur fra mille errori, aprono un futuro possibile a società il cui futuro si è spesso appannato per effetto dell'incapacità di risolvere contraddizioni nel loro presente. Le persone audaci esplorano nuovi e sconosciuti sentieri mediante le loro emozioni e trasferiscono il loro intuire nella società mediante le loro azioni. Per questo una società ferma si mette in moto. E' l'esempio delle Primavere Sacre dei Latini: era necessario essere audaci per seguire il Picchio Verde o il Lupo e fondare nuove città.
Che cos'è la costanza? E' la consapevolezza degli effetti nel tempo di azioni ripetute. Essere consapevoli che la modificazione del presente non avviene con un colpo di bacchetta magica, ma avviene per modifiche e trasformazioni successive. La costanza spinge l'individuo a mantenere la rotta anche quando condizioni avverse lo spingono a modificare le sue scelte. L'individuo costante modifica le proprie convinzioni molto lentamente e solo in base a modificazioni dei propri intenti in relazione agli intenti sociali. Essere costanti non significa essere caparbi. Essere costanti comporta la capacità di giustificare e articolare le ragioni delle proprie scelte e delle proprie decisioni. Essere costanti non significa essere sordi a comportamenti costanti che differiscono negli intenti e negli obbiettivi, significa sostenere la propria costanza con argomenti capaci di dimostrare come la propria costanza sia vantaggiosa per la società in cui si vive. Le condizioni oggettive possono richiedere molta costanza per raggiungere i propri obbiettivi, ma le argomentazioni avverse all'esercizio della costanza nel raggiungimento dei propri obbiettivi, vanno rintuzzate o fatte proprie, ma mai ignorate. Le argomentazioni distinguono l'individuo costante dall'individuo caparbio; l'individuo che ha soggettivato i bisogni sociali dall'individuo che si comporta da tifoso.
Che cos'è la nobiltà d'animo? E' la capacità dell'individuo di far coincidere i propri bisogni soggettivi con quelli della società in cui vive. Non si tratta di rinunciare a s´ stessi, ma di mettere in sintonia le proprie emozioni e i propri desideri con le emozioni e i desideri della società in modo che la soddisfazione dei propri bisogni coincida con la soddisfazione, almeno in parte, dei bisogni della società nella quale viviamo. Se vuoi arricchirti, arricchisciti, ma fa' in modo che del tuo arricchimento se ne avvantaggi l'intera società. Aumenta il tuo benessere aumentando il benessere della tua società. Mantieni un equilibrio fra benessere materiale e benessere culturale. La nobiltà d'animo è possibile in una società in cui non vi siano dogmi morali o doveri imposti che stridono con i bisogni e i desideri soggettivi dei singoli cittadini. In quel caso, la nobiltà d'animo porta l'individuo a rimuovere quegli ostacoli che non rappresentano solo ostacoli al suo sviluppo, ma ostacoli allo sviluppo di tutta la società.
Che cos'è l'equità? E' l'opposto della partigianeria applicata alle decisioni e alle scelte del singolo individuo. Equità è un termine che si applica nella divisione dei beni, delle ricchezze sociali, nella partecipazione dei singoli ai bisogni della società. L'equità è l'atteggiamento del singolo individuo quando opera secondo parametri oggettivi e socialmente riconosciuti, superando le predilezioni soggettive e l'arbitrio individuale. Nell'equità c'è un superamento della soggettività, che viene sottomessa a regole oggettive che fungono da garanzia a tutto il sistema sociale in cui l'individuo opera. Anteporre le regole sociali alle predilezioni soggettive del singolo individuo permette di superare la nascita di eventuali conflitti sociali e la società può guardare con maggior forza al suo futuro. Nell'equità la società si compatta; nella soggettività, proiettata sulla società, la società si smembra.
Che cos'è la probità? E' l'integrità morale. Che cos'è l'integrità morale? E' la capacità dell'individuo di veicolare le proprie pulsioni, i propri desideri, la ricerca di soddisfazione dei propri bisogni all'interno delle condizioni ammesse nella società civile. La probità consente all'individuo di agire per modificare quantità e modalità in cui veicolare i propri desideri e le proprie pulsioni, ma non consente all'individuo di soddisfare i suoi desideri e le sue pulsioni in conflitto con le regole sociali. La probità è l'accettazione da parte dell'individuo delle norme che regolano la società in relazione ai suoi stessi bisogni e desideri. La probità consente alla società di determinare le relazioni fra gli individui in cui veicolare le proprie pulsioni. Per fare un esempio attuale, la nostra società vieta le "molestie sessuali". L'individuo probo non è colui che rinuncia alle "avances" sessuali, ma è colui che usa la giusta discrezione per non offendere la sfera sessuale dell'oggetto del suo desiderio. L'individuo probo individua la probità nell'altro e negli altri e nei loro confronti impone a s´ stesso i comportamenti propri del Mos Maiorum.
Che cos'è l'autorità? E' il soggetto che si fa carico dei problemi sociali in relazione ad altre società o in relazione alle leggi sociali. L'autorità è sottoposta alle leggi morali e non può agire al di fuori delle regole morali. Non c'è obbedienza all'autorità, ma c'è obbedienza dell'autorità alle leggi e ai principi del Mos Maiorum, in relazione ai compiti che quell'autorità deve svolgere. L'autorità è uno strumento della società civile. I dittatori di Roma come Cincinnato o Massimo il Temporeggiatore, erano degli strumenti della società, non i suoi padroni. Gli stessi generali e lo stesso esercito erano degli strumenti della società e non i suoi padroni, Così recita Decio prima di morire:
Giano, Giove padre, Marte padre, Quirino,
Bellona, Lari,
Dèi Novensili, Dèi Indigeti, Dèi che avete in podestà noi e i nemici, Dèi Mani!
Voi prego, a voi chiedo in favore, e in grazia voi invoco,
Perch´ al popolo romano dei Quiriti concediate prosperità di forza e di vittoria,
e ai nemici del popolo romano dei Quiriti, diate terrore, spavento e morte.
Devotio
Nel senso che do alle parole da me pronunziate, in quel senso, per lo Stato, l'esercito, le legioni e gli aiuti del popolo romano dei Quiriti, le legioni e gli aiuti dei nemici, con me, agli Dèi Mani e alla Terra voto.
Tratto da: Giovanni Battista Pighi "La poesia religiosa romana".
L'autorità Decio vota alla morte s´ stessa e i nemici della società di Roma. Egli ha ottemperato al Mos Maiorum dell'autorità. Non ha chiesto obbedienza per s´ alla società civile, ha obbedito alle necessità che la società civile gli imponeva in quella situazione contingente. Il concetto di autorità non è riferito "all'obbedienza all'autorità", ma "ai doveri dell'autorità".
Che cos'è l'onestà? L'onestà è la coincidenza, nell'individuo, fra le parole che pronuncia e le intenzioni emotive dentro di lui. Il contrario dell'onestà consiste nel dire qualche cosa e poi fare il contrario. Quando cioè le parole non supportano le emozioni. Scegliere un atteggiamento o l'altro non è di per s´ un male; ma una società necessita di persone che siano chiare, persone che agiscono all'unisono. La disonestà è spesso la condizione dell'uomo insicuro, incapace. Dell'uomo pauroso. Con la sua paura e la sua incapacità può fare molti danni alla società civile, spiazzando altri uomini che contavano sul suo operato. Se io sento il mio vicino che dice: "Io farò questo!" organizzo la mia azione tenendo presente quanto verrà fatto. Se il mio vicino non fa quello che ha detto di fare, ciò che io faccio potrebbe risultare dannoso. E lo stesso vale per me. Se io pavento delle azioni e ne realizzo altre, inganno le persone della mia società. Una società ingannata non è sufficientemente forte per affrontare il proprio futuro. E' una società sospettosa e finisce per diventare una società paurosa in cui le persone hanno paura di presentare s´ stesse per paura di essere ingannate.
Che cos'è la misura come concetto morale? E' la consapevolezza del limite entro il quale non si può andare in conflitto. Si dice "passare la misura", "oltre misura", "la misura è colma". E' la consapevolezza del limite che si può raggiungere in un conflitto emotivo-verbale con l'altro prima che tale conflitto superi il limite verbale per assumere forme più violente. Esiste un limite entro il quale posso gestire il conflitto fra persone nella società senza che questo limite provochi danni irreparabili fra i contendenti tali da riversarsi come problemi sulla società stessa. Un esempio può essere il conflitto fra gli animali nel contendersi le femmine durante i periodi di accoppiamento. Il loro conflitto non giunge quasi mai all'annientamento dell'altro, ma resta nella misura in cui la specie tollera il conflitto. Lo stesso vale per gli uomini. Esiste un limite in cui può avvenire il conflitto emotivo. Oltre quel limite si danneggia la società. Oltre quel limite si ricorre, oggi come oggi, ai tribunali. Nella steppa, nelle società di nomadi, non ricorri ai tribunali. Se non sai contenerti nei limiti, finisce che qualcuno muore e il gruppo viene indebolito nei suoi conflitti con l'esterno.
Che cos'è la moderazione? E' il contrario dell'avidità. Prendere con moderazione significa essere attenti che "ce ne sia per tutti". Usare la moderazione significa far in modo che l'intera società tragga beneficio dal poter prendere o beneficiarne. Più persone beneficiano dei vantaggi più la società è felice. Più una società è felice, più è forte nel suo insieme. se alcune persone accumulano per s´ sottraendo quello che andrebbe diviso nella società, ne consegue che vivono in una società bisognosa. Quando i bisogni sociali superano la misura del tollerabile, in un modo o nell'altro, ciò che è stato accumulato va ridistribuito. A volte la redistribuzione ha aspetti drammatici come le crisi economiche attuali dimostrano o come imposto dai provvedimenti di Solone. Altre volte la redistribuzione delle ricchezze accumulate ha effetti benefici e non conflittuali, come la costruzione delle piramidi in Egitto. Il comportamento moderato precede il conflitto. Il commerciante avido sarà spazzato via dal commerciante che vende le merci con un guadagno commisurato alle sue necessità. Una società in cui le persone si comportano con moderazione è una società in cui la ricchezza c'è per tutti. Non costruisce l'indigenza e i cittadini sono pronti a collaborare per un ulteriore benessere sociale.
Una società organizzata su queste basi morali può funzionare e, infatti, tali principi guidano la società fintanto che, ingrandendosi, essa ha bisogno di leggi che definiscano i principi morali uscendo dall'ambito ristretto della comunità.
La definizione dei principi del Mos Maiorum ha portato la società romana ad espandersi superando i conflitti e le crisi che si presentavano nel corso dei secoli. Poi, ad un certo momento, i principi del Mos Maiorum iniziano ad essere aggrediti. Il nome delle virtutes resta uguale, ma cambia il riferimento a cui la virtus è riferita.
Grosso modo, questo periodo lo facciamo iniziare dallo scontro civile fra Mario e Silla.
Per due volte Silla marcia contro Roma violando il principio del Mos Maiorum sull'autorità.
Silla marcia per la seconda volta su Roma dopo aver distrutto la Grecia.
Dopo la distruzione dei libri Sibillini nel tempio di Giove Capitolino, nel 69 a.c. viene distrutta Delo ad opera dei pirati.
Quando la filosofia greca giunge a Roma? La data è incerta col Circolo degli Scipioni e i legami con i greci Panezio e Polibio, ma certamente l'ambasceria di Atene composta da Carneade (scettico), Critolao (peripatetico) e Diogene di Babilonia (stoico) del 155 a.c. impose una svolta culturale. Nel I° secolo a.c. la media Stoa ebbe una grande influenza sulla cultura romana.
Da un lato le leggi di Silla distruggono la società romana, quella società che si basa sui principi del Mos Maiorum che abbiamo descritto, e dall'altro lato arriva la filosofia greca che interpreta la realtà sociale e morale. Panezio di Rodi è accolto a Roma (Graecia capta...) nel circolo letterario degli Scipioni fra il 145 e il 130 a.c. Era succeduto ad Antipatro di Tarso alla guida della Stoa. Panezio di Rodio progetta la conquista ideologica di Roma ad opera degli stoici e, per farlo, diventa il fondatore dello stoicismo medio. Attenua la sistematicità teorica e il rigore etico rispetto alle imposizioni dello stoicismo antico. Panezio di Rodi introduce un concetto nuovo per lo stoicismo, ammettendo che l'uomo comune abbia delle virtù, piegando il Mos Maiorum alle necessità di dominio sull'uomo proprie dello stoicismo. Le virtù dell'uomo comune, secondo lo stoicismo, non sono necessariamente in perfetta armonia con la ragione, il Logos stoico, ma con la sottomissione (e l'accettazione) alle consuetudini e ai doveri imposti.
Il più famoso allievo di Panezio di Rodi fu Posidonio di Apamea, capo della scuola fondata a Rodi, alla quale ebbe come uditori Cicerone e Pompeo. Posidonio assunse nella sua dottrina molti elementi Platonici, come l'immortalità dell'anima razionale e la sua preesistenza (concetto che non esisteva in Roma Antica in cui è elaborato il Mos Maiorum), o l'attribuzione delle emozioni, che per lo stoicismo erano malattie dell'anima, all' "anima appetitiva" come potenza dell'organismo corporeo [Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia]. Da qui inizia lo stupro dei principi morali del Mos Maiorum. Poi, con Posidonio, Cicerone (il De Officiis, I Doveri, fu scritto da Cicerone sul modello di Sul Dovere di Panezio da Rodi), Epitteto, Seneca e Plutarco, il cerchio della distruzione del Mos Maiorum si completa.
Il concetto che distrugge il Mos Maiorum è quello del "logos".
Che cos'è il logos? E' un ente al di fuori delle norme, delle leggi, dello Stato, elevato a categoria, modello, nel quale i cittadini di quello Stato devono identificarsi.
La parola logos indica la ragione, sia come attività propria dell'uomo sia come principio metafisico che costituisce un ordine razionale del mondo. Questo concetto a Roma non esisteva. Una volta assunto tale concetto come elemento di riferimento, tutte le virtù del Mos Maiorum non sono più le virtù dell'uomo sociale, ma sono le virtù del logos che impone i comportamenti all'uomo sociale. Diventano le virtutes dell'imperatore che l'uomo sociale deve riconoscere nella carica. Le virtutes non sono più guida delle azioni dell'uomo sociale nella società, ma sono attributo insito nella carica di imperatore o di comando sociale. Gli uomini, facendo dipendere la loro struttura psico-emotiva dal logos e identificandosi con quel modello, di fatto piegano la loro realtà psichica e razionale affinch´ funzioni rispetto al modello. Non è più la società a determinare le esigenze comportamentali dell'individuo, ma gli elementi, morali ed etici, imposti aprioristicamente ed attribuiti a quel modello. Questo processo di modifica dei riferimenti individuali delle virtutes necessita di alcuni secoli e di molte generazioni, in quanto la costruzione della dipendenza emotiva si fissa nell'individuo in età fetale e si dispiega in tutta la sua potenza nell'educazione della primissima infanzia (primi tre anni). Pertanto, per fissarsi in età fetale, è necessario che gli elementi emotivi siano trasmessi al feto dalla madre mediante azioni devozionali come sue risposte alle sollecitazioni del mondo. La madre non risponde più al desiderio e alle passioni, ma è costretta a vivere il conflitto fra le passioni e la necessità morale di reprimere le passioni: "Ciò che lo stoico ha il dovere di evitare sono le passioni (vere e proprie malattie dell'anima); a esse oppone l'apatia, astenendosi da qualsiasi azione ingiusta, sia vivendo in solitudine sia, se costretto dalle circostanze, ricorrendo anche al suicidio piuttosto che mancare al dovere." Diz. Antichità Classica Garzanti
Questo imperativo di sottomissione del desiderio, senza un'adeguata risposta sociale, manipola l'intera struttura emotiva della società diffondendosi come un'infezione virale. Un contagio comportamentale deforma la prospettiva emotiva della società creando una malattia di dipendenza dell'individuo che lo induce alla ricerca ossessiva di approvazione sociale al fine di promuovere s´ stesso. Il concetto di Logos va di bocca in bocca e ciò che il Logos impone, come repressione del desiderio e della passione, è considerato bene e socialmente approvato. E' la malattia mentale della dipendenza del soggetto ad un oggetto astratto e immaginato esterno che provoca la distruzione del Mos Maiorum che fondò Roma; si finisce per definire il Mos Maiorum nella volontà del Logos che necessita della repressione del desiderio e delle passioni dell'individuo sociale.
"Eraclito designa come logos il principio vitale della realtà, il quale è "fuoco" e "ragione" insieme. Per Platone l'Essere è logos in quanto si articola nell'ordine dialettico delle idee. Gli stoici denominano logos il soffio animatore che permea il tutto ed è "ragione seminale" (logos spermatikos) delle singole realtà. Per Plotino il Logos è la potenza ordinatrice del mondo, emanata direttamente dall'intelletto divino. Filone di Alessandria chiama a sua volta logos l'ipostasi intermedia fra dio e il mondo, la quale funge da strumento e da tramite dell'atto creatore divino. Nel vangelo di Giovanni è detto che "il logos si è fatto carne e ha abitato fra noi": Cristo è dunque lo stesso logos divino, divenuto uomo fra gli uomini per consumare il mistero della redenzione."
Tratto Dal Dizionario di filosofia Rizzoli
Non più un Mos Maiorum che regola la veicolazione nella società delle passioni e dei desideri, ma il Mos Maiorum del Logos che impone la repressione delle passioni e dei desideri. Una società che inizia ad implodere su s´ stessa negando ai cittadini il diritto dei desideri e delle passioni per imporre l'apatia. Indubbiamente nella società ci sono delle resistenze individuali, ma la repressione del desiderio e delle passioni (che i cristiani finiranno per trasformare in pulsioni demoniache) diventa la regola che le madri trasmettono ai figli (specialmente a quelli che avranno più cure e meno a quelli che saranno abbandonati) e i figli non potranno far altro che dipendere dai desideri morali del Logos.
Lo stoicismo impone alla società un'etica del dovere e dell'obbedienza. La fondamentale massima stoica è "vivi secondo natura", cioè secondo il lògos divino che è in tutte le cose. Da cui deriva un'etica del dovere razionale che si oppone all'edonismo e fa propria la dottrina cinica della "virtù" intesa come saggezza.
Si aprono le porte al dominio religioso del dio padrone sulla società incarnato da Cesare Augusto e seguito dal dominio assoluto del dio dei cristiani.
Bruto ucciderà Cesare che tenta di farsi padrone di Roma, ma sarà ucciso. Un altro Bruto, molti secoli prima, sorretto dal Mos Maiorum, uccise l'ultimo re Tarquinio dando il via ad alcuni secoli di Repubblica. Bruto uccide Cesare, ma Cesare vince: Augusto diventa l'imperatore di Roma. Il Logos di Roma darà il via a quel modello che i cristiani useranno per il loro Gesù re e imperatore.
Il Mos Maiorum diventerà: fede, speranza e carità. Fede nell'assurdo, speranza nel padrone, disprezzo per le necessità sociali.
In questo modo Roma morirà.
Epitteto (50-138ca d.c.), stoico che vuole purificare la dottrina stoica dall'eclettismo di Panezio e Posidonio, nel suo Manuale descrive la relazione tra uomini e Dèi come imposta da stoicismo e neoplatonismo in antitesi al Mos Maiorum:
"31-I Per quanto concerne la devozione verso gli Dèi, sappi che la cosa più importante è questa: avere giudizi retti al loro riguardo, cioè che essi esistono e governano l'universo in un modo buono e giusto, e essere disposti ad obbedire loro, a sottomettersi a loro e a seguirli in buon grado in tutto ciò che capita, perch´ questo è il prodotto della più eccellente delle volontà. Così tu non biasimerai gli Dèi e non muoverai loro il rimprovero di trascurarti."
Manuale di Epitteto ed. Einaudi a cura di Pierre Hadot ed. 2006 p. 183
Come si può constatare, la relazione fra uomini e Dèi è esattamente la relazione che c'è nel cristianesimo fra i cristiani e il loro dio.
La legittimazione della dipendenza della società di Roma dal dio assoluto Stoico è ben definita in Seneca nel suo trattato "I Benefici" nel libro IV:
"Se qualcuno ti avesse donato pochi iugeri di terra, tu diresti di aver ricevuto un beneficio: e non vorresti definire un beneficio le immense distese di terra che si aprono alla tua vista? Se qualcuno ti donerà del denaro e ti riempirà la cassaforte, dato che ti sembra una gran cosa, definirai questo un beneficio; dio [il dio padrone e creatore, nota mia] ha messo sotto terra tante vene metallifere, ha fatto scaturire tanti fiumi che portano oro sulle terre su cui scorrono, un'enorme quantità d'argento , di rame, di ferro è seppellito in ogni luogo e dio [il dio padrone, nota mia] ti ha dato la facoltà di andarne in cerca e ha disposto alla superficie della terra dei segnali che indicano queste ricchezze nascoste: e tu dici di non aver ricevuto nessun beneficio?"
Tratto da Seneca, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale ed. Rusconi p. 537
Quando una società cessa di tendere verso l'assoluto, ma fa dipendere s´ stessa da un assoluto e dalla sua provvidenza, cessa di espandersi e va necessariamente verso la fine della civiltà. Tutte le civiltà dopo il periodo di espansione vengono prese dalla malattia della dipendenza e, inevitabilmente, implodono finch´ eventi esterni non le spazzano via. Poi, quando gli uomini hanno toccato il fondo, allora iniziano a riportare la loro attenzione ai loro bisogni e ai loro desideri e cercano nuove strade di espansione. Non è una ripetizione culturale del passato, ma l'apertura di un nuovo futuro partendo dalla distruzione di quel passato. Oggi noi possiamo parlare del Mos Maiorum antico perch´ siamo nel 2000 con l'esigenza di espandere una società che è scesa nell'orrore sociale in cui il cristianesimo l'ha costretta. Solo che il cristianesimo non è un'ideologia in s´. E' l'espressione ideologica di una malattia che trova in Platone e in Zenone i suoi giustificatori come l'ignoranza culturale ha la sua santificazione in Paolo di Tarso.
Che ne è rimasto oggi del Mos Maiorum?
Che fine hanno fatto quei principi che resero grande Roma?
Ne è rimasto ben poco nella società civile, ma molto per fissare il dio padrone cristiano e il suo diritto al dominio degli Esseri Umani.
Per cercare la traccia del Mos Maiorum dobbiamo aprire il Catechismo della chiesa cattolica:
1806 – La prudenza è la virtù che predispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. L'uomo "accorto controlla i suoi passi" (Prv 14,15). "Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera" (1 Pt 4,7). La prudenza è la "retta norma d'azione", scrive san Tommaso [Summa theologiae, II-II, 47,2] sulla scia di Aristotele. [...]
1807 – La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a dio [il dio padrone] e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso dio [il dio padrone] è chiamata "virtù di religione". La giustizia verso gli uomini dispone di rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle azioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. [...]
1808 – La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù nella fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di rafforzare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. "Mia forza e mio canto è il padrone" (sal 118,14). "Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo" (Gv 16,33).
1809 – La temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione [inibisce la sua libido; nota mia] e non segue il proprio "istinto" e la propria "forza assecondando i desideri" del proprio "cuore" (Sir 5,2) La temperanza è spesso lodata nell'antico testamento: "Non seguire le tue passioni, poni un freno ai tuoi desideri" (Sir 18,30). Nel nuovo testamento è chiamata "moderazione" o "sobrietà". Noi dobbiamo "vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo" (Tt 2,12).
1814 – La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la santa chiesa ci propone da credere, perch´ egli è la stessa verità. Con la fede "l'uomo si abbandona tutto al dio padrone liberamente" (Concilio Vaticano II, Dei Verbum,5). Per questo il credente cerca di conoscere e di fare la volontà del dio padrone. "Il giusto vivrà mediante la fede" (Rm 1,17). "la fede viva opera per mezzo della carità" (Gal 5,6).
1817 – La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nella promessa di cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello spirito santo. "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perch´ è fedele colui che ha promesso" (Eb 10,23). Lo spirito è stato "effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù cristo, salvatore nostro, perch´ giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna" (Tt 3,6-7).
1822 – La carità è la virtù teologale per la quale amiamo il dio padrone sopra ogni cosa per s´ stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore del dio padrone.
1866 – I vizi possono essere collegati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiamati capitali perch´ generano peccati, altri vizi. Sono la superbia, l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o l'accidia.
Tratto dal Catechismo della Chiesa Cattolica ed Leonardo 1994
Il Mos Maiorum squartato, smembrato. Non più sistema di relazione fra gli uomini, ma sistema morale con cui esaltare la potenza di dominio del dio padrone sugli Esseri Umani.
Con la morte del Mos Maiorum, è morta la tensione morale che rese grande Roma.
Marghera, 14 settembre 2011
Claudio Simeoni Meccanico Apprendista Stregone Guardiano dell'Anticristo Membro fondatore della Federazione Pagana Piaz.le Parmesan, 8 30175 Marghera - Venezia Tel. 3277862784 e-mail: claudiosimeoni@libero.it |
-- |
Non esiste nella società in cui viviamo una disciplina o delle regole per chi voglia costruire una Religione o, più in generale, un pensiero religioso autonomo e diverso dalla religione cattolica che domina ogni anfratto dell'esistenza umana. Chi lo fa viene visto con sospetto. Un nemico da combattere e quando viene aggredito, le Istituzioni tendono ad ignorare le aggressioni. Eppure, costruire una religione è l'unico modo per agire sulle proprie emozioni e costruire i legami fra sé stessi e il mondo in cui siamo nati.