Scrive Aristotele nella Metafisica a proposito dei Pitagorici:
Quanto, poi, a quei filosofi che hanno esteso la loro indagine su tutta quanta la realtà e che operano una distinzione tra enti sensibili ed enti non-sensibili, è ovvio che essi soffermano la loro attenzione su tutti e due questi generi di cose; perciò, al fine di proseguire lo studio dei problemi che ora ci stanno dinanzi, è il caso di trattenersi più a lungo con costoro e di esaminare quanto di buono o di non buono c'è nelle loro teorie. Orbene, i cosiddetti Pitagorici fanno uso di princìpi e di elementi che sono ancora più assurdi di quelli posti dai naturalisti (e il motivo di tale assurdità sta nel fatto che essi non li hanno assunti dal mondo sensibile, giacché gli enti matematici, tranne quelli che hanno a che fare con l'astronomia, sono privi di movimento), ma non di meno tutte le loro discussioni e tutto il loro impegno hanno per oggetto la natura; essi, infatti, parlano della generazione del "cielo" e si occupano di ciò che accade nelle parti e nelle affezioni e nelle attività di esso e verso tale direzione essi impiegano i princìpi e le cause, come se fossero d'accordo con gli altri naturalisti nel sostenere che l'essere è solo in quanto è sensibile e che il cosiddetto "cielo" lo contiene.
Da: Aristotele, Metafisica, editore Hachette, 2016, pag. 38 - 39
I pitagorici, come Filolao applicano i numeri al cielo e ai numeri attribuiscono il nome di un Dio mettendo, al centro del loro cielo, un fuoco perenne ed immobile che chiamano Hestia.
La generazione del cielo, in questa parte della metafisica di Aristotele, sembra sia l'argomento principale che Aristotele prende in considerazione dei pitagorici.
La definizione della realtà del cielo da parte dei pitagorici è molto particolare. In questo cielo il sole riflette il fuoco al centro del cosmo attorno al quale ruotano dieci pianeti. La terra è uno di questi pianeti rotanti, come la luna che sarebbe, secondo Filolao, abitata da pianre e animali.
Per leggere il cielo, pitagorici usano i numeri e le dimensioni geometriche. Numeri e dimensioni geometriche diventano oggetti in sé e come tali Aristotele li attribuisce ai pitagorici
Il pensiero di Filolao arrivava a definizioni del cielo come quella esposta da Aetios.
Aetios II 7,7 (D. 336 probabilmente da Teofrasto nell'estratto di Posidonio)
16. Filolao colloca un fuoco nel mezzo, intorno al centro, ch'egli chiama "focolare" dell'universo, e anche "casa di Zeus", "madre degli dèi", "altare", "vincolo", "misura della natura". E poi un altro fuoco nella parte più alta, il quale è l'involucro. E dice che primo per natura è il fuoco di mezzo, intorno a cui si muovono in giro dieci corpi divini, cioè (l'olimpo e i cinque) pianeti, dopo questi il sole, sotto il sole la luna, sotto ancora la terra, e sotto questa l'antiterra; dopo tutti sta il fuoco del focolare, che ha il suo posto intorno al centro. La parte più alta, quella dell'involucro, in cui risiedono gli elementi nella loro purezza, la chiama "olimpo"; quella sotto il giro dell'olimpo, in cui sono disposti i cinque pianeti insieme col sole e la luna, la chiama "cosmo"; infine la parte sublunare e circumterrestre, in cui si generano le cose mutabili, la chiama "cielo". L'ordine che regola le cose celesti è oggetto della "sapienza"; il disordine delle cose che si generano, della "prudenza"; perfetta quella, questa imperfetta.
Tratto da: Pitagorici antichi, testimonianze e frammenti, a cura di Maria Timpanaro Cardini, Editore Bompiani, 2010, da pag. 353 a pag. 365
Filolao è uno dei pitagorici che rese pubblica parte della filosofia dei pitagorici che veniva trattata in segreto. La visione del cielo veniva criticata da Aristotele.
Non è ben chiaro, fra i pitagorici, se i numeri erano un mezzo per definire la realtà o se, come afferma Aristotele erano oggetti in sé da cui deriva la realtà.
Siamo davanti ad una questione antica e attuale. Il soggetto che descrive la realtà, descrive la realtà che percepisce il soggetto, per cui la realtà per sé; oppure il soggetto descrive la realtà in sé, per ciò che oggettivamente è?
Numeri, quantità, dimensioni geometriche, rappresentano elementi centrali con cui la ragione umana descrive il mondo in cui il soggetto vive. E' un tentativo di comprendere un mondo, altro da sé, che si osserva e che si tenta di definire. Non siamo davanti all'individuo che abita il mondo, siamo davanti al Dio sulle nubi che attraverso la sua ragione tenta di descrivere il mondo che osserva. Per farlo usa i numeri, le dimsioni geometriche, la quantità.
Questo Dio che osserva il mondo dall'alto, non dice: "Io percepisco razionalmente il mondo in questo modo!", ma dice "Il mondo è questo che io percepisco!"
Evidentemente siamo di fronte ad una contraddizione. Il mondo che io riesco a descrivere, per me è l'assoluto del mondo anche se modifico la mia descrizione che appare, sempre e comunque, per me, l'assoluto del mondo.
Un osservatore esterno, osservando le mie affermazioni e le mie azioni, può dire che "io credo in questo", mentre lui elabora una diversa descrizione del mondo fatta di numeri, quantità, forme geometriche ecc., che per lui appare la verità assoluta del mondo in cui vive e che contrappone alla mia descrizione del mondo.
Scrive Aristotele:
Aristotele, "de caelo" B 13, 293 a 18
16b. I più dicono che la terra sta nel centro ... il contrario affermano i filosofi Italici, chiamati Pitagorici; essi dicono che nel mezzo c'è fuoco, e che la terra è un astro, che muovendosi in circolo intorno al centro, produce la notte ed il giorno. E inoltre suppongono un'altra terra opposta a questa, che chiamano antiterra. Essi non indagano le ragioni e le cause partendo dai fenomeni, ma al contrario, cercano di tirare i fenomeni a certe loro ragioni e opinioni, e a queste adattarli. Ed anche molti altri sarebbero d'accordo con loro che non si debba assegnare alla terra la sede nel centro, qualora ricavassero le proprie convinzioni non dall'osservazione dei fenomeni, ma piuttosto da astratti ragionamenti. Quelli infatti ritengono che al corpo più nobile convenga. il luogo più nobile; che il fuoco è più nobile della terra; che i termini valgono più delle parti intermedie; e termini sono tanto la parte estrema che il centro. Sicché per analogia con queste loro affermazioni, non la terra essi credono che occupi il centro della sfera, ma il fuoco. Inoltre i Pitagorici, anche per il fatto che deve essere custodita la parte più importante del tutto - e tale è per loro il centro - chiamano custodia di Zeus il fuoco che occupa questo luogo; come se ciò che è chiamato centro semplicemente, o centro di una grandezza, fosse anche centro di un'attività e centro della natura. Invece, come negli esseri viventi non è la stessa cosa il centro del loro corpo e il centro della loro vitalità, cosi, ed ancor più, è da supporsi che sia per tutto quanto il cielo ...
Tratto da: Pitagorici antichi, testimonianze e frammenti, a cura di Maria Timpanaro Cardini, Editore Bompiani, 2010, da pag. 365 a pag. 369
L'accusa di Aristotele ai pitagorici è chiara. Dice Aristotele:
"Essi non indagano le ragioni e le cause partendo dai fenomeni, ma al contrario, cercano di tirare i fenomeni a certe loro ragioni e opinioni, e a queste adattarli. Ed anche molti altri sarebbero d'accordo con loro che non si debba assegnare alla terra la sede nel centro, qualora ricavassero le proprie convinzioni non dall'osservazione dei fenomeni, ma piuttosto da astratti ragionamenti."
In pratica, secondo Aristotele, i pitagorici, in questo contesto, seguono proprie opinioni personali preconcette alle quali adattano i fenomeni del mondo. I pitagorici non ricavano le loro afferamazioni dall'osservazione dei fenomeni, ma da ragionamenti astratti.
Dice Aristotele:
Inoltre, anche se si concede loro, anzi si dà per dimostrato, che una grandezza è composta da questi fattori, come è mai possibile, tuttavia, che alcuni corpi siano leggeri ed altri abbiano un peso? Giacché, in base alle loro premesse e alle loro asserzioni, questi filosofi dovrebbero fornirci spiegazioni sui corpi matematici non più che su quelli sensibili146; ed è questo il motivo per cui non hanno parlato di fuoco o di terra o degli altri simili princìpi corporei, perché essi, a parer nostro, non avevano nulla di particolare da dire intorno agli enti sensibili. E ancora, come mai si potrebbe pensare che le affezioni del numero e lo stesso numero siano causa di tutto ciò che esiste e si genera al di sotto del cielo, e non solo dapprincipio, ma anche ora, e che, d'altra parte, non esista alcun altro numero al di fuori di quello da cui è composto il mondo? E quando essi pongono, ad esempio, in una certa parte dell'universo l'opinione e il tempo critico, e un po' più su o più giù l'ingiustizia o la decisione o la mescolanza, e quando pretendono, altresì, di dimostrare che ciascuna di queste cose si identifica con un numero e che in questo luogo determinato vi è di già una pluralità di grandezze composte da numeri, proprio perché certe determinate proprietà numeriche corrispondono a certe determinate zone del mondo, allora noi ci domandiamo: questo determinato numero, che bisognerebbe considerare identico con ciascuna di tali determinazioni, è lo stesso numero che è nel mondo sensibile oppure è un altro al di fuori di esso? Platone afferma che è un altro: sebbene, infatti, ritenga che le grandezze materiali e le loro cause sono numeri, egli intende precisare che i numeri intellegibili sono cause, mentre gli altri sono solamente sensibili.
Da: Aristotele, Metafisica, editore Hachette, 2016, pag. 39 - 40
Col concetto che i numeri siano un oggetto in sé, Aristole chiude il discorso, in quest'ambito, della Metafisica in relazione ai pitagorici.
Della dottrina pitagorica, almeno per ora, Aristotele prende in considerazione l'uso dei numeri lasciando il sospesa la questione se, secondo i pitagorici, i numeri generano gli oggetti o gli oggetti si possono identificare con i numeri. Quando i pitagorici chiamno con "Uno" una sorta di Dio universale, il tutto che in Platone diventa l'Artefice, è quel "Dio universale" che diventa "uno" o è il numero "uno" che genera quel "Dio universale"?
La grandezza materiale non è un numero. Il numero descrive la grandezza materiale.
La difficoltà che porta Aristotele al di fuori della metafisica sta nel fatto che non riese a distinguere fra l'oggetto come oggetto in sé e la descrizione che dell'oggetto ne dà un soggetto che ritiene, quella descrizione, l'oggetto in sé.
Nella filosofia di Platone e Aristotele manca lo stridere fra quanto il soggetto interpreta della realtà e la realtà in sé che può essere interpretata in maniera diversa da altri soggetti a seconda della loro capacità di percepire, analizzare ed elaborare il mondo in cui vivono.
La mancanza di separazione fra soggettività che interpreta il mondo e il mondo in quanto tale, è uno degli elementi a fondamento dell'assolutismo dove il soggetto fa della propria interpretazione del mondo l'idea assoluta della realtà del mondo da imporre a tutte le persone, al di là della loro idea della realtà del mondo, affinché facciano propria la sua interpretazione della realtà del mondo.
Con Filolao abbiamo visto che il fuoco è al centro di un universo e, attorno al fuoco, ruotano i pianeti.
Aristotele non si avvede che mentre gli altri preplatonici ponevano elementi fisici a fondamento del divenuto del presente, ai pitagorici non interessa da dove il presente è divenuto, ma la forma del presente. Mentre i filosofi preplatonici interessa il fondamento da cui si genera il presente, ai pitagorici interessa la "verità del presente" togliendo al presente la volontà con cui ha proceduto a trasformarsi e risolvendo le trasformazioni dell'uomo nella metempsicosi.
Marghera, 08 dicembre 2025
Continuano le riflessioni sulla Metafisica di Aristotele.
Fine sesta parte

Sito di Claudio Simeoni
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
Tel. 3277862784
e-mail: claudiosimeoni@libero.it

Ultima modifica ottobre 2025
Questo sito non usa cookie. Questo sito non traccia i visitatori. Questo sito non chiede dati personali. Questo sito non tratta denaro. Questo sito non usa l'intelligenza artificiale.