La Metafisica in Aristotele e Platone e la Metafisica Pagana
Prima parte:
Le affermazioni di Emanuele Severino e gli apriori di Aristotele

di Claudio Simeoni

Metafisica

La metafisica come idea della coscienza trascendentale rispetto alla coscienza della ragione
Prima parte:
Le affermazioni di Emanuele Severino e gli apriori di Aristotele

L'antica polemica relativa alla metafisica va fatta risalire a Platone e Aristotele, ma le esigenze che mi portano a riaprire la polemica messa in atto da Aristotele contro la metafisica pagana sono sintetizzate in uno scritto con cui Emanuele Severino presenta il suo libro "Heidegger e la metafisica".

Scrive Emanuele Severino:

Nel pensiero contemporaneo, la persuasione che non esista alcuna struttura e conoscenza immutabile e definitiva è la persuasione che la soluzione di ogni problema è il riaprirsi di un nuovo problema: il divenire è l’inevitabile riaprirsi del problema, il suo mantenersi aperto al di là di ogni soluzione, cioè di ogni fermata del processo in cui l’essere consiste. Il problema trascende ogni soluzione; ogni fermata che si ponga come struttura o conoscenza immutabile e definitiva è illusoria, la sua consistenza è apparente. La distruzione degli immutabili è inevitabile. Il trascendimento di ogni soluzione da parte del problema è la problematicità trascendentale dell’esistenza; e l’espressione filosofica di tale problematicità è problematicismo trascendentale. E’ necessità (quella a cui abbiamo accennato) che la fede nel divenire giunga a presentarsi, al culmine della storia dell’occidente, come problematicismo trascendentale.

Aspetto emergente del problematicismo trascendentale è il riconoscimento, da parte della scienza e della tecnica moderne, di non possedere alcuna verità immutabile e incontrovertibile, e di doversi costituire come un processo sempre aperto. Il problematicismo trascendentale non afferma l’inaccessibilità dell’ordine in sé delle cose, ma afferma che, proprio perché tale ordine non esiste, ogni soluzione è provvisoria. Ponendo come fondamento la fede nel divenire - l’Occidente cresce all’interno di questa fede, che è l’essenza stessa del nichilismo - l’unica necessità è l’inesistenza di ogni necessità nell’essere e nel conoscere. L’evidenza originaria del divenire diventa, al culmine della storia dell’occidente, l’evidenza conclusiva, la negazione di ogni immutabile.

All'opposto per la metafisica classica e l’intera tradizione filosofica fino a Hegel l’evidenza originaria del divenire è il fondamento dell'affermazione dell'Immutabile nella sua essenza la tradizione filosofica afferma l'esistenza dell'Immutabile (e l'immutabilità ed eternità costituiscono il tratto essenziale di Dio) perché ritiene che se l’immutabile non esistesse, il divenire sarebbe qualcosa di autocontraddittorio. Ma nella tradizione filosofica l’incontraddittorietà dell’essente, espressa dal « principio di non contraddizione », è evidenza cooriginaria all'originaria evidenza del divenire, e dunque è l’evidenza dell’impossibilità che quell’essente che è il divenire sia qualcosa di autocontraddittorio: il concetto dell’esperienza del divenire e il principio di non contraddizione, nella loro unità, costituiscono l’incontrovertibile, l'episteme. Dire che, se l’immutabile non esistesse, il divenire sarebbe qualcosa di autocontraddittorio significa dunque dire che l’affermazione dell’esistenza dell’immutabile è un’affermazione necessaria. Per la tradizione filosofica l’esistenza del divenire implica necessariamente l'esistenza dell’Immutabile. (Ma nell’«in sé», di cui il pensiero contemporaneo è il « fenomeno » - nel senso qui sopra indicato — appare che l’esistenza del divenire implica necessariamente l'inesistenza dell’Immutabile, e dunque risulta impossibile che l’inesistenza dell’immutabile determini l’autocontraddittorietà del divenire).

Da: Emanuele Severino, "Heidegger e la metafisica", Editore Adelphi, 2018, pag. 15-16

Episteme: Nel pensiero di Platone è il sapere certo, acquisito, che si contrappone all’opinione del singolo.

E' necessario stabilire da dove vogliamo far partire la storia della filosofia.

Dice Emanuele Severino:

"All'opposto per la metafisica classica e l’intera tradizione filosofica fino a Hegel l’evidenza originaria del divenire è il fondamento dell'affermazione dell'Immutabile. Nella sua essenza la tradizione filosofica afferma l'esistenza dell'Immutabile (e l'immutabilità ed eternità costituiscono il tratto essenziale di Dio) perché ritiene che se l’Immutabile non esistesse, il divenire sarebbe qualcosa di autocontraddittorio."

Quella che Emanuele Severino indica come "filosofia classica" nasce da una polemica contro la "filosofia classica". Una polemica fatta non solo di affermazioni spacciate come epistemi, ma di insulti, denigrazione, calunnie nei confronti della filosofia classica.

Nasce dalla necessità di dominare un divenire dell'esistenza che è divenuto per trasformazione e per contraddizioni interne, privo di un dominatore e di un regolatore. Fino al IV secolo d.c. questa era la regola della filosofia mentre, l'assolutismo di Pitagora, Platone e Aristotele, rispetto al complesso del pensiero filosofico dell'epoca, era assolutamente marginale. La marginalità era tale rispetto alle persone, ciò non toglie che le idee di Platone e Aristotele, come quelle degli stoici e dei neoplatonici, non fossero dominanti nei circoli imperiali. Circoli ristretti di potere che da quelle idee traevano la legittimazione del loro dominio sull'uomo.

Per esempio, viene completamente ignorata la filosofia di Roma prima della nascita del circolo degli Scipioni. Qual era la filosofia praticata da Numa? Che cos'è la filosofia del "patto con gli Dèi"?

Eppure, da quella filosofia nasce il sistema giuridico delle società moderne.

Scrive Aristotele nella Metafisica:

Che essa non sia una scienza produttiva risulta con chiarezza anche da qualche considerazione su quelli che diedero inizio alla riflessione filosofica; infatti gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio, hanno preso dalla meraviglia lo spunto per filosofare, poiché dapprincipio essi si stupivano dei fenomeni che erano a portata di mano e di cui essi non sapevano rendersi conto, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, si trovarono di fronte a maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna e del sole e delle stelle e l’origine dell’universo. Chi è nell’incertezza e nella meraviglia crede di essere nell’ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose [NOTA: Perciò i primi che trattarono gli inizi delle cose in un certo modo mitologico furono chiamati poeti teologi.]); e quindi, se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all’ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico.

Aristotele, Metafisica, editore Hachette, 2016, pag. 12-13

Questa osservazione di Aristotele descrive le condizioni oggettive dalle quali Aristotele inizia il suo discorso sulla metafisica.

Quando dice "gli uomini, sia nel nostro tempo sia dapprincipio ... " parte dal presupposto che ci sia un inizio degli uomini. Un momento della creazione dell'uomo da cui l'uomo inizia a filosofare. Stabilire un inizio dell'uomo, significa stabilire, indirettamente, un iniziatore dell'uomo.

Questo preconcetto irreale, fantasioso, di Aristotele condiziona tutta la sua struttura di pensiero e lo costringe a ignorare ogni altra condizione possibile di pensiero.

Ammettendo pure, se si vuole dire, che Aristotele non poteva pensare diversamente dato il tempo e le condizioni dell'epoca, non è comunque ammissibile che, oggi come oggi, nel XXI secolo si ponga, alla base di alcuni pensieri filosofici, quelle affermazioni e quei modelli di ragionamento che partono da presupposti costruiti su affermazioni che oggi appaiono false e precostituite.

Aristotele ragiona come se lui fosse il più alto grado della conoscenza raggiunta e la trasforma nel più alto grado della conoscenza raggiungibile. In una verità.

Gli uomini, secondo Aristotele, subivano un trasporto emotivo verso le trasformazioni della Luna, del Sole e delle Stelle soffermandosi e chiedendosi dell'origine dell'universo. Uomini che nascevano, si trasformavano, giorno dopo giorno, non avrebbero potuto far altro, stando agli schemi ideologici di Aristotele, che pensare alla Luna, al Sole e alle Stelle che nascevano, crescevano e si trasformavano con lo stesso movimento dell'intero universo.

A differenza di ciò che afferma Aristotele, questi uomini non si meravigliavano né erano nell'ignoranza. Per milioni di anni avevano vissuto ed erano divenuti abitando questo mondo e questo universo. Erano divenuti, nati e trasformati, abitando questi fenomeni e, su quei fenomeni scandivano la loro vita: notte e giorno. Le stesse mestruazioni delle donne hanno un ciclo molto simile a quello della Luna.

L'arroganza, con cui Aristotele disprezza gli antichi, suona come un’offesa. Non tanto per le convinzioni di Aristotele, quanto perché, ancor oggi, quanto quelle convinzioni sprezzanti ed arroganti hanno prodotto come logica generando un pensiero che delira sulla verità.

Dice Aristotele "se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all’ignoranza". Certamente Aristotele si sarà seduto a vagheggiare, chiamandolo filosofare, con lo scopo di fuggire dall'ignoranza, ma gli uomini prima di lui, e anche gli uomini del suo tempo, costruivano relazioni nel mondo; vivevano; cacciavano; coltivavano; raccoglievano; amavano. Questa è l'attività che porta alla conoscenza, non il sedersi e il vagheggiare.

Ti siedi e vagheggi. Non vedi le trasformazione del mondo; non le vivi, non le abiti.

L'uomo che si alza il mattino, ara il campo, semina, osserva con trepidazione il cielo, vede la spiga nascere e crescere. Vede che da un seme ne ricava cinque o sei semi. Quell'uomo abita il cambiamento, la modificazione. Vive il cambiamento e sa che da qualcosa può avere un qualcos'altro. Il seme "A" diventa la spiga "B", allora il seme "A" (che è) non è più la spiga "B" (che era), e la spiga "B" (che è) non è ancora il seme "A" (che sarà).

Diverso è il modo di vivere e diverso è la qualità del pensiero che sorge nell'uomo.

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Claudio Simeoni

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Ultima modifica ottobre 2025

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